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Gli USA, la Cina ed il reset mondiale. Cosa li lega alla pandemia? Perché non potevano farne a meno?

Il pezzo che segue è tratto dall’ultima versione aggiornata del libro 31 Coincidenze sul Coronavirus e sulla nuova guerra fredda USA/Cina

Mentre scrivo, nel mondo siamo in piena emergenza pandemia ed in una quarantena forzata. La finestra che dà
sulla strada restituisce un’immagine spettrale. Il silenzio è rotto solo dal suono continuo delle sirene delle ambulanze.
Ogni tanto si intravede la figura di qualche passante, con il volto coperto da una mascherina, allontanarsi a passo svelto e scomparire nel buio. Una scena di guerra, nella quale si inseriscono le immagini che arrivano dal web e precisamente dai siti NATO. Scene completamente censurate dai media italiani, che vedono migliaia di soldati statunitensi sbarcare sul suolo europeo con i loro blindati e armati fino
al collo, ufficialmente per portare avanti quella che loro definiscono la più imponente esercitazione militare dai tempi della guerra fredda1. Tempismo perfetto.
Una nuova guerra fredda, infatti, tra i due paesi che rappresentano le più importanti economie del pianeta, USA e Cina, è in atto da tempo, nel silenzio generale. Un conflitto tecnologico.
Chi vince questa battaglia dirigerà il futuro. Gli americani l’hanno capito. Ma sanno anche che la stanno perdendo.

Per questo hanno lanciato moniti pesantissimi agli alleati, e non solo. Hanno fatto sapere che gli accordi con
la Cina su materie come il 5G metterebbero in discussione la NATO. Rischierebbero di interrompere i rapporti di
collaborazione tra i servizi di intelligence. Metterebbero in pericolo la sicurezza dei paesi dell’Alleanza Atlantica e
quella degli Stati Uniti. Raccomandazioni a cui nessuno ha ubbidito. I più leali hanno fatto il doppiogioco. Altri credono di essere saltati sul carro vincente dell’imperialismo cinese.
Trump ha risposto con una guerra commerciale. Ma a qualcuno, quella risposta, evidentemente non basta più. La
posta in gioco è troppo alta. C’è chi auspica un intervento radicale, estremo, immediato, paralizzante.

Questo scenario ci riporta ai tempi della prima guerra fredda USA/URSS e ci ricorda che, quando gli Stati Uniti si
sentono minacciati, entrano in gioco forze e organizzazioni fuori da ogni controllo e pronte a tutto. Ci ricorda quando a disubbidire erano uomini come Aldo Moro, che provò ad aprire ai comunisti facendo infuriare certi ambienti in America: «cambia le tue politiche o la pagherai cara» gli intimò il potente Segretario di Stato americano Henry Kissinger.
La Procura di Roma ha acquisito nel settembre del 2013 la cassetta dell’intervista3 di Giovanni Minoli a Steve Pieczenik, esperto di terrorismo, già consulente del Dipartimento di Stato americano nel 1978. Pieczenik, fu inviato in Italia, subito dopo il rapimento, per affiancare il Ministro dell’Interno Francesco Cossiga, futuro presidente della Repubblica.

«Ho incontrato Cossiga almeno una volta al giorno per circa 40 o 50 giorni ed ogni giorno ci incontravamo anche più volte».

Da quella intervista e da altre dichiarazioni e libri abbiamo appreso, moltissimi anni dopo il rapimento Moro, che la missione americana in Italia non fosse mirata a trovare una strategia per liberare il prestigioso ostaggio ma per favorire esattamente il contrario: «in quel momento stavamo
chiudendo tutti i possibili canali attraverso cui Moro poteva essere rilasciato», dichiarerà Pieczenik a dimostrazione che si intendesse indirizzare l’azione delle autorità italiane nella direzione evidentemente auspicata in America, contrari alla trattativa, perché ritenevano «necessario il sacrificio di Moro».
La domanda che mi ponevo era questa: cosa è necessario, al di là di tutto per stabilizzare l’Italia? La risposta che mi davo era: bisognava sacrificare Aldo Moro evitando a tutti i costi che i comunisti arrivassero al potere conclude Pieczenik.
Questo è solo un esempio palese del possibile coinvolgimento di ambienti americani dietro i principali fatti di cronaca che hanno contraddistinto il nostro paese. Nel libro “Il Cartello Finanziario” ho ripercorso tanti altri eventi nei quali questo coinvolgimento è emerso in maniera ufficiale
e documentata a dimostrazione che la paura di un avvicinamento dell’Italia all’Unione Sovietica mediante i partiti comunisti è stato il più grande incubo degli Stati Uniti dalla fine della seconda guerra mondiale fino al 1989 e che questa ossessione spinse alcuni apparati americani a modificare
il corso della storia del nostro paese, infiltrando le nostre istituzioni e creando delle reti di controllo capillare sul territorio fino ad intraprendere un ruolo da protagonisti nel plasmare quello che sarebbe diventato il futuro protettorato americano che va oggi sotto il nome di Unione Europea, inizialmente eterodiretta dal padrino Washington.

Appena finita la guerra fredda, quegli stessi ambienti americani ebbero un ruolo anche nelle vicende italiane che causarono la fine della prima Repubblica, quando venne spazzata via un’intera classe politica che si era dimostrata euroscettica ma soprattutto troppo disobbediente alle imposizioni statunitensi.
Tra i poco ubbidienti dell’epoca, infatti, c’era anche Bettino Craxi, morto in esilio ad Hammamet. Il presidente del Consiglio socialista che a Sigonella costrinse alla resa le squadre speciali statunitensi inviate da Ronald Reagan, che pretendevano di infrangere la nostra sovranità. Gli americani,
costretti alla resa, restarono traumatizzati dal modo in cui Craxi li trattò in quella vicenda, senza alcun timore reverenziale. Scenari che ci riportano anche ad Andreotti, che dovette confessare in Parlamento l’esistenza della Gladio Stay Behind, l’organizzazione paramilitare clandestina imposta nel nostro paese dai servizi statunitensi in funzione antisovietica. Lo stesso che fece più volte arrabbiare gli americani per i suoi stretti rapporti con i paesi arabi e soprattutto con i palestinesi. Andreotti è finito poi in un calvario giudiziario, non esente da colpe. Questi scenari ci riportano al presidente dell’ENI Enrico Mattei, che esplose in volo dopo aver portato avanti una strategia che mirava a spezzare il monopolio del Cartello petrolifero delle “sette sorelle”, ossia le sette più grandi compagnie petrolifere del mondo. Una strategia adottata non soltanto per il tornaconto del nostro ente petrolifero ma anche per stabilire nuovi rapporti tra i paesi industrializzati e i fornitori di materie prime, chiamati a diventare partner del nostro paese.
Ci riporta a Giovanni Falcone e all’ostinazione, emersa nei suoi ultimi diari, di indagare sul ruolo delle organizzazioni clandestine, ritrovate anche nei memorandum di Moro, che dagli Stati Uniti potrebbero avere avuto un ruolo dietro la strategia della tensione in Italia; questo, nonostante i suoi stessi colleghi gli mettessero i bastoni tra le ruote e gli intimassero di non continuare.
Diciamoci la verità. Disubbidire a certi ambienti americani non ha mai portato bene. Non sto puntando il dito contro qualcuno, dato che anni e anni di commissioni di inchiesta non hanno portato a nulla di conclusivo dal punto di vista giudiziario (anche se hanno fatto emergere verità
che ci imporrebbero di riscrivere la storia del nostro paese a partire da quegli anni). Ne faccio però una questione puramente “scaramantica”. Quando qualcosa minaccia seriamente gli Stati Uniti, soprattutto se si tratta di una grande potenza comunista, l’avvicinamento del nostro paese ad essa non è raccomandabile. A distanza di anni la sciagurata “profezia” sembra si stia nuovamente avverando.
Ma se un tempo si trattava di fermare singoli uomini, al massimo interi partiti, oggi lo scenario è diverso. Il nemico è ancora una volta comunista e ancora una volta è messa in discussione la leadership mondiale americana. Ma a disubbidire sono adesso intere nazioni, anzi interi continenti, e
il processo sembra inarrestabile. L’America è sull’orlo di perdere la propria egemonia. Il suo presidente vuole tutelarla sul fronte commerciale ma c’è chi pretende un nuovo secolo di dominio americano a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo.

Il tema delle nuove reti 5G ha appena trascinato il mondo in una nuova guerra fredda tra USA e Cina.
Ma cos’è il 5G e perché dovrebbe essere al centro di uno scontro epocale tra le due super potenze?
Il 5G, ossia la rete mobile di quinta generazione, è la tecnologia del futuro nel campo delle telecomunicazioni, e non solo. Da essa dipenderanno, infatti, il funzionamento dell’intelligenza artificiale in tutte le sue applicazioni, quello delle blockchain, i pagamenti digitali e in generale tutto
il processo di digitalizzazione in atto nei vari paesi. Possiamo sintetizzare dicendo che chi mette le mani sul 5G mette le mani sul futuro.
La cosiddetta “5G Economy” avrà nei prossimi anni un ruolo da protagonista nell’economia mondiale. Ma c’è un altro fattore che rende vitale, per le superpotenze mondiali, poter gestire queste tecnologie, ed è il delicato tema della sicurezza informatica, che riguarda il numero infinito e incalcolabile
di dati che viaggia attraverso quelle antenne e che permette a chi le gestisce di poter letteralmente spiare il mondo.
La Cina con Huawei è più avanti in questa tecnologia ed è anche più economica. Gli Stati Uniti sono pronti a tutto pur di non mettere a rischio la loro leadership mondiale permettendo tra l’altro che il loro maggiore antagonista, la potenza con cui è già in corso una guerra commerciale, possa addirittura utilizzare quelle reti per spiare l’America e i paesi NATO. Né gli Stati Uniti, né la Cina sono disposti a cedere di un passo. Che lo scontro abbia inizio.
Sul colosso cinese Huawei si concentrano da tempo i timori dell’amministrazione di Washington, secondo la quale usare il 5G made in Cina potrebbe esporre a rischi di spionaggio e conseguentemente mettere a serio rischio il dialogo con gli Stati Uniti. Appelli durissimi sono arrivati
da parte del presidente Donald Trump e di tutta la diplomazia americana in particolare dal Segretario di Stato, Mike Pompeo, ma anche da ambienti di intelligence, da ambienti militari e nel nostro caso anche da parte dell’ambasciatore USA in Italia, Lewis Eisenberg. Tutti concordi che utilizzare la tecnologia 5G di Huawei o dell’altro colosso cinese, Zte, quest’ultimo a controllo statale, potrebbe influenzare la capacità USA di condividere informazioni di intelligence con i suoi alleati. È una questione cruciale per la sicurezza degli Stati Uniti d’America.

La potenza cinese va cooptata. E subito.
Questo assunto, per quanto difficile da credere – dato che ufficialmente le due superpotenze si fanno la guerra – è pienamente confermato dalle parole di Joe Biden – sfidante democratico di Donald Trump alle elezioni presidenziali del 2020 – che ha pubblicamente dichiarato che:

“Il compito che abbiamo ora è quello di creare un Nuovo
Ordine Mondiale. Ma per farlo c’è bisogno che la Cina
prosperi.”

Concetto che si fonde con quello espresso dal leader indiscusso dei globalisti, George Soros che dichiarò durante
una intervista al Financial Times:

“È arrivato il momento di portare la Cina nella creazione di
un Nuovo Ordine Mondiale o chiamiamolo nuovo ordine
finanziario. La Cina deve far parte del processo di creazione
di un nuovo ordine mondiale e deve appoggiarlo.
È necessario impadronirsene. Ed anche un declino controllato
del dollaro è necessario. La Cina emergerà come
“motore” andando a sostituire i consumatori americani.”

Ed è proprio questo uno degli obiettivi che i globalisti stanno riuscendo a realizzare sempre grazie al Covid19 (che sia esso stato indotto o che sia naturalmente nato da un pipistrello).
La Cina, infatti, in questo momento è l’unico paese che sta prosperando e crescendo nel post pandemia. Proprio come auspicato da Soros e dal nuovo leader dei Dem americani.
In pratica i globalisti sono consapevoli – e lo abbiamo sentito dalle loro parole – che il nuovo ordine mondiale, per essere (appunto) globale, debba necessariamente includere la Cina ed è il motivo per cui già nel 2001 le permisero di entrare nell’Organizzazione Mondiale del Commercio
(WTO) favorendo quello che fu considerato il più grande cambiamento economico della storia recente.
Ora quel processo deve concludersi, ed i fautori del nuovo ordine sono consci del fatto che non si possa inglobare la Cina nel nuovo ordine facendole la guerra, così come stava facendo Donald Trump, che invece avrebbe voluto impedire che quel proposito si realizzasse. Il Tycoon, infatti, aveva
come obiettivo “l’America Great Again”, ossia riportare le produzioni di ogni tipo all’interno del paese, ridimensionando il processo di globalizzazione. Ma i fautori del nuovo ordine mondiale e dello stato profondo sono altresì consapevoli che non riusciranno a coinvolgere la Cina nel loro
progetto, se essa, nel frattempo, dovesse conseguire l’egemonia del pianeta. Ecco perché – mentre Trump ha potuto attaccare la Cina frontalmente – i globalisti saranno costretti da una parte a fare di tutto per impedire che la Cina metta le mani su quei settori che gli garantirebbero la leadership – come le nuove tecnologie, fermando la corsa del dragone nello sviluppo delle reti 5G e delle tecnologie militari e aereospaziali – ma dall’altra dovranno fare in modo che la Cina venga invece coinvolta, aiutata, integrata nelle istituzioni globali in modo che prosperi a livello commerciale, anche a costo di favorire il declino del dollaro; perché solo così il nuovo ordine, inglobando la potenza cinese, potrà
davvero diventare mondiale ed essere da essi gestito.

Cosa potrebbe trascinare la Cina nel nuovo ordine mondiale facendola prosperare in cambio della sua rinuncia alla leadership globale? Cosa punirebbe i paesi disobbedienti?
Cosa renderebbe indispensabili misure estreme di controllo della popolazione e delle nazioni? Cosa potrebbe congelare i processi democratici e creare un terreno di shock, utile a portare avanti misure altrimenti improponibili?

 

Tratto dall’introduzione del libro/inchiesta 31 Coincidenze sul Coronavirus e sulla nuova guerra fredda USA/Cina

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